Verso la fine del XII secolo, il termine indicava una "persona che parla per Dio; chi preannuncia eventi futuri, un predicatore ispirato." Derivava dall'antico francese prophete, profete, che significava "profeta, indovino" (usato già nell'XI secolo, in francese moderno prophète), e proveniva direttamente dal latino propheta, a sua volta tratto dal greco prophētēs (nella variante dorica prophatēs). In greco, il termine si riferiva a "un interprete, un portavoce, un annunciatore; un precursore" (come le cicale d'estate), ma soprattutto a "chi parla a nome di una divinità, un predicatore o insegnante ispirato." Era composto da pro, che significa "davanti" (derivato dalla radice indoeuropea *per- (1), che significa "in avanti," quindi "davanti a" o "prima di") e dalla radice di phanai, che significa "parlare" (anch'essa derivata da una radice indoeuropea, *bha- (2), che significa "parlare, raccontare, dire").
Il termine greco veniva usato nella Settanta per tradurre l'ebraico nabj, che significava "indovino, profeta ispirato." I primi scrittori latini traducevano il greco prophetes con il latino vates, ma la forma latinizzata propheta divenne predominante nei periodi post-classici, soprattutto grazie agli scrittori cristiani. Questo probabilmente accadde perché vates aveva associazioni pagane. In inglese, il significato di "scrittore profetico dell'Antico Testamento" emerse verso la fine del XIV secolo. Il senso non religioso si sviluppò nel 1848 e fu usato per riferirsi a Maometto già negli anni 1610 (traducendo l'arabo al-nabiy, e talvolta anche al-rasul, che significa propriamente "il messaggero"). In antico inglese, il termine latino era reso con witga. L'espressione The Prophets, per indicare "i libri profetici dell'Antico Testamento," comparve verso la fine del XIV secolo.